La volta scorsa ci eravamo inerpicati lungo la tortuosa via dell’avversione al cambiamento: perdere per non aver scelto di cambiare è percepito come meno doloroso che perdere per aver scelto di farlo
Ma prima di procedere, è bene fare una integrazione alla nota precedente…
Ha ragione chi sostiene che spesso il cambiamento si porta dietro un carico di costi dovuti alla stessa transizione o al rischio di sbagliare le stime sul nuovo, a fronte di una sicurezza sul vecchio ?
Quando è così si può addirittura quantificare quanto più conveniente deve essere una nuova opzione per spingere a lasciare la vecchia. Immaginiamo un esempio: un noto gestore telefonico mi propone di lasciare il mio attuale gestore di pari fama. La proposta iniziale è sostanzialmente identica a quella che ho in vigore. In un attimo gli diciamo di no perché valutiamo non trascurabili i rischi di disservizio del cambiamento (nonostante le rassicurazioni del nuovo operatore).
In questo caso, dunque, le opzioni, pur identiche come servizio proposto, non sono simmetriche perchè tra restare e cambiare c’è un costo di passaggio legato ai rischi di disservizio. Traffico internet illimitato in più potrebbe essere un buon modo per convincermi a farlo… Questo è per me il controvalore del rischio di cambiamento.

Non tutte le situazioni però sono caratterizzate da tali costi nascosti (o evidenti) legati al cambiamento di per sé. Non lo sono quelle presentate nella nota precedente, ad esempio. Come si sa, il rendimento futuro di un’azione non è per nulla influenzato dal rendimento passato… ciò che va bene fino ad oggi, domani può crollare miseramente, quindi nel caso del business game finanziario (in cui le azioni venivano scambiate senza “tasse” di alcun genere) non vi era alcun costo di cambiamento, ne’ rischio diverso tra il restare ed il cambiare… erano situazioni a “memoria zero” equivalenti al trovarsi per la prima volta davanti a due investimenti simili tra cui scegliere. Eppure l’avversione al rimpianto si è manifestata lo stesso come maggiore recriminazione da parte di coloro che avevano fatto una scelta “attiva” rispetto a quelli che avevano fatto una scelta “passiva”.
Stesso discorso vale per la scelta della porta per trovare il tesoro, proposta nell’Esperimento di Monty Hall : non vi sono costi di cambiamento nascosti, restare o cambiare non portano alcun costo “differenziale” se non quello “psicologico”.

In queste situazioni, simmetriche per definizione, l’avversione al rimpianto introduce un’asimmetria “irrazionale”….non sbaglia neanche chi sostiene che ci sono persone attratte fatalmente dal nuovo e persone che lo “aborrono” per carattere. In effetti quello che ho espresso nella nota non riguarda la disponibilità o meno al cambiamento in assoluto, ma solo la resistenza al cambiamento dettata dalla paura di un possibile rimpianto che, come abbiamo visto è asimmetrica.
Parliamo di cellulari.
Supponiamo che un amico ci proponga di sostituire l’attuale telefono con uno uguale ma un po’ più nuovo (per compensare i costi nascosti del rischio di cambiamento). Dopo una settimana ci accorgiamo che il nuovo telefono non funziona bene, mentre il vecchio (regalato ad un collega) sta che è una meraviglia. Ora immaginiamo di aver rifiutato il cambio e che il telefono dopo una settimana si rompa, mentre quello rifiutato sta che è una meraviglia. Secondo te in quale delle due situazioni ti sentiresti più sfortunato? la maggior parte delle persone perde la pazienza di più se a non funzionare è il nuovo telefono che abbiamo ottenuto in cambio del vecchio.
Al mercante in fiera, hai notato quante persone non vendono la loro carta nemmeno a cifre folli per paura che esca dopo essersene privati ? Oppure quante persone si mangiano letteralmente le mani se vince una carta che hanno appena scambiata con una perdente ?
In tutti questi casi il costo di cambiamento è zero eppure l’avversione per il rimpianto si manifesta tutta.
Alla prossima!