La volta scorsa avevamo illustrato un metodo per valutare la probabilità di essere effettivamente malati a valle di un accertamento diagnostico positivo per una malattia grave.
Abbandoniamo ora il tema della salute per un po’ e parliamo della resistenza al cambiamento e dell’avversione al rimpianto
Sappiamo bene che cambiare costa fatica ed energie e l’essere umano è portato per natura al risparmio energetico. Questo atteggiamento è così diffuso che a volte non ci rendiamo conto di come influenzi i nostri comportamenti.
Prendiamo, ad esempio, uno dei più famosi proverbi che si tramandano di generazione in generazione: Chi lascia la via vecchia per la nuova, sa quel che lascia, e non sa quel che trova.
Beh se ci pensi bene la frase è ovvia … verrebbe da dire: so what ? e allora ? la cosa su cui non riflettiamo spesso è, però, che quello che fornisce valore al proverbio è proprio la sua connotazione negativa implicita.
È come se sentissimo una vocina che dice: quello che trovi è probabile che sia peggiore di quello che lasci.
E se la via nuova fosse, invece, decisamente migliore di quella vecchia?

Il motto è formulato in modo assolutamente neutro eppure la maggior parte delle persone lo interpreta come un invito alla cautela: se resti fermo sei giudizioso, se cambi sei uno scriteriato. Ma chi l’ha detto? potrebbe essere vero il contrario!
Avversione al rimpianto è il nome con cui i cognitivisti chiamano questa trappola: ci secca tremendamente dover ammettere a noi stessi e agli altri di aver sbagliato ma, stranamente, non c’è simmetria tra il restare e sbagliare e il cambiare e sbagliare…
E’ stato fatto un esperimento coinvolgendo un gruppo di operatori finanziari in un business game.
All’inizio gli investitori avevano a disposizione lo stesso insieme di azioni con il vincolo di non poterle vendere. Dopo un primo periodo di gestione nel quale le azioni avevano dato un buon rendimento, si proponeva al gruppo di scambiare quelle azioni con altre che avevano ottenuto un rendimento analogo. Gli investitori si dividevano quindi in due gruppi numericamente abbastanza simili: quelli che accettavano il cambiamento e quelli che preferivano mantenere le azioni in loro possesso.
A distanza di qualche tempo , ai due gruppi veniva proposto il risultato delle loro scelte. Entrambi scoprivano di aver perso la stessa quota di valore (supponiamo il 30%). Ebbene quello che si è accertato, è che coloro che avevano mantenuto le azioni iniziali erano meno rammaricati di quelli che avevano cambiato azioni!

Entrambe le categorie avevano perso la stessa ricchezza ma avevano reagito in maniera diversa ! In altre parole, perdere per non aver scelto di cambiare è stato meno doloroso che perdere per aver scelto di farlo, con il rammarico di non essere rimasti nella situazione di partenza.
Questa è asimmetria irrazionale di preferenze. Il “non cambiare” non viene da noi percepito come una scelta essa stessa e ci si rammarica più quando si fa una scelta “attiva” e si perde, rispetto a quando non si fa nulla e si perde lo stesso. Naturalmente questa trappola mentale può essere usata per manipolare il nostro consenso e le nostre scelte economiche e politiche, se non ne siamo consapevoli.
Tanto per ritrovare la capra lasciata qualche nota fa … nelle numerose esperienze di aula mi capita spessissimo che le persone che sostengono l’ipotesi che le percentuali sulle due porte chiuse siano le stesse (50% e 50%) preferiscano comunque rimanere nella scelta iniziale: in altri termini pur credendo nella simmetria delle possibilità, invece di tirare una moneta e decidere cosa fare (che darebbe loro, tra l’altro, una maggiore possibilità di successo), preferiscono” restare” piuttosto che “cambiare“. ” se hanno la stessa probabilità… tanto vale restare !” questo mi è stato detto diverse volte.
Saremo ben strani ?!
Alla prossima…sulle false testimonianze dovute al framing.